domenica 15 giugno 2008

Per Vincenzo Russo

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15 GIUGNO 2008
PALMA CAMPANIA (NA)

Manifestazione per l'anniversario della nascita
di
Vincenzo Russo
martire della repubblica napoletana del 1799
16 giugno 1770 - 16 giugno 2008

deposizione di una corona d'alloro alla lapide commemorativa da parte degli alunni del Liceo "A. Rosmini" nel cortile della casa natale in Vicoletto Russo (zona Monualdo)

a cura del
GRUPPO ARCHEOLOGICO TERRA DI PALMA
con il patrocinio del Comune di Palma Campania


Nel corso della Manifestazione sono state presentate due petizioni al Comune di Palma: una, a firma degli abitanti del quartiere, con la richiesta di risistemazione dell'area nelle adiacenze della casa natale di Vincenzo Russo; l'altra, a firma del Gruppo archeologico Terra di Palma, con la richiesta di denominare Palma Campania "Città di Vincenzo Russo".

lapide dedicata a Vincenzo Russo

casa natale di Vincenzo Russo


Un momento della manifestazione; nella foto: prof.ssa Maria Maddalena Nappi, sindaco Vincenzo Carbone, assessore Sabato Simonetti

*

da

"I Pensieri politici" di Vincenzo Russo

scelta antologica a cura di Enzo Rega



Ho conosciuto l’uomo corrotto; ma ho pur meditato la natura delle sue facoltà, ed ho studiato i mezzi che potrebbero ricondurlo alla sua dignità vera.

(A chi legge, p. 13)



Io non ho volta la mente né alle antiche repubbliche né alle moderne, non alle nuove, non alle vetuste legislazioni: ho consultato nelle cose stesse la verità.

(A chi legge, p. 14)



Chi vuole ben conoscere la società, approfondi le leggi dell’esistenza, e le facoltà dell’uomo. Chi conosce l’uomo accuratamente, conoscerà con adeguatezza la società.

(Cap. I, La legge, p. 15)



La libertà è quell’energia nell’uomo, che produce in lui la possibilità di applicarsi da uno ad altro oggetto, secondo le leggi del vero; e di seguire da una cosa all’altra, secondo le leggi del buono.

(Cap. VI, Natura e sviluppo della libertà, p. 20)



Siccome l’uomo non è fatto per nutrirsi di uomini, non di rapina, non ha nella sua natura veruna di quelle cose, che lo dovessero render restio alla società degli altri uomini; ed appena non vi ha nulla, che distorni gli esseri sensibili dal consorzio, essi vi si lasciano andare naturalmente.

(Cap. VIII, Disposizioni dell’uomo per la società, p. 24)



Non è di guerra lo stato dell’uomo. La guerra perché la farebbe egli mai? Sono abbondanti i mezzi onde sussistere. È convenuto ai sostenitori del sistema di uno stato naturale di guerra fra gli uomini supporre nell’uomo un’avidità al di là del soddisfacimento de’ suoi bisogni: tale avidità, che sarebbe infine un effetto senza cagione, è senza alcun dubbio un assurdo.

(Cap. IX, L’uomo in società, p. 27)


Dacché l’uomo esiste, esistono le sue leggi: dacché due uomini sono in contatto, le loro leggi individuali vengono ad essere modificate da nuove circostanze, ma il principio, la natura di esse sono i medesimi: dacché due uomini si comunicano le loro relazioni, esistono leggi fra loro […]. Il patto sociale dunque è nato coll’uomo, è gemello del principio del suo maggior bene.

(Cap. IX, L’uomo in società, p. 27)



Risulta da ciò, il solo sistema di società conforme alla natura umana, essere il sistema popolare nel suo vero senso, che cioè il popolo, si governi immediatamente da sé. Gli altri non son fatti per l’uomo, poiché l’uomo in essi non può esistere nella pienezza delle sue facoltà.

(Cap. X, Condizioni della società, p. 30)



Appena sono funzionari pubblici in una società, si stabilisce la teoria che vi sieno depositarj del pubblico potere. È questa una idea, che potrebbe disporre a servilità. Il deposito suppone una privazione in cui rimanga il popolo dal canto suo. Or questa privazione non esiste, non dee, e non può esistere. In qual modo si può conferire altrui la propria forza, senza renderlo dispositore di essa, e quindi padrone della nostra propria volontà rispetto alla forza nostra sì che voglia disporne egli, e non già noi?

(Cap. XI, La repubblica popolare, p. 33)



Il popolo è vivo sempre e presente, nulla esiste in società se non immediatamente per lui: onde è, che possa ritirare le sue forze ad ogni istante. Allora i suoi funzionarj spariscono come le bolle di acqua sul mare.

(Cap. XI, La repubblica popolare, p. 34)



La libertà sociale non è diversa dalla libertà individuale. Come potrebbe essere altra, se la società è composta di uomini? La società non è mai in contraddizione coll’individuo, considerato nell’estensione di tutti i suoi rapporti.

(Cap. XIV, Libertà, p. 38)


Perché in un popolo sia libertà, non basta in verun modo che vi sieno osservate le leggi: tale osservanza produce sicurezza, ma non libertà. Non basti che vi sia la conformità esterna delle azioni colla legge: vi bisogna la conformità interna, la congruenza della ragione comune colla ragione individuale.
Quindi non sarà mai veramente libero un popolo, il quale non sia composto di cittadini morali…

(Cap. XIV, Libertà, p. 39)


Eguaglianza, ossia parità individuale non esiste in natura umana. Non vi sono fra i composti a noi noti due soli, che sieno perfettamente eguali: né vi è per gli uomini un’eccezione. Chiunque ha per poco studiato la storia naturale, e la chimica, chiunque ha fatto uso de’ suoi sensi in diversi punti del globo, della sua riflessione in stagioni o giornate di temperatura diversa; si è avveduto non esser possibile, che gli uomini dell’ultimo settentrione, o dell’ultimo oriente siano del tutto eguali a quei, che più si avvicinano all’equatore.
Ma dacché gli uomini non sono pari individualmente; non ne deriva, che siano disuguali ne’ diritti loro. Il fonte di ogni diritto è l’esistenza: l’esistenza è un fatto semplice, e quindi in tutti eguale.
Siccome per conservare l’esistenza altri ha più, altri meno esteso bisogno di mezzi esterni nell’applicazione che si fa alle cose, del diritto eguale di esistenza, nasce necessariamente una disuguale estensione di diritti. Per vivere io ho bisogno di 10, altri di 15 […]. Tanto io ho coll’aver dieci, mentre ho bisogno di dieci, quanto tu coll’aver venti con venti di bisogni. La disuguaglianza comincia finalmente allora quando io non posso avere abbastanza pe’ miei bisogni, e tu hai al di là de’ tuoi.
L’eguaglianza suppone dunque essenzialmente l’indipendenza. Se io per conservare l’esistenza mia ho bisogno di te non sono più indipendente, né più tuo eguale: tu puoi far senza di me, io senza di te non posso. Ecco stabilita la disuguaglianza di fatto, ed ecco la schiavitù.

(Cap. XV, Eguaglianza, pp. 40-41)



L’uomo ha bisogno dei prodotti della terra come essere fisico e sensibile, e non qual essere calcolatore. Quindi conviene cercare ne’ suoi bisogni, e non già nel suo intendimento la ragione ed i limiti della sua proprietà, delle cose necessarie alla sua vita ed alla sua perfezione.
La proprietà verace di queste, la sola che meriti nome di proprietà, si limita a quello, che ci fa duopo pel soddisfacimento dei nostri attuali bisogni. La proprietà futura e permanente è una istituzione estranea all’ordine ed alla natura delle facoltà umane.
Il primo che stabilì la permanenza della proprietà delle cose necessarie alla vita ed alla perfezione, dischiuse la trista sorgente della schiavitù, del delitto, e dello snaturamento dell’uomo.

(Cap. XVIII, Proprietà, pp. 45-46)



Come il diritto di proprietà suppone un bisogno, ogni diritto di proprietà finisce col finir della vita. Chi fa testamento, dispone de’ beni per un tempo, in cui non ha più diritto sopra di essi. Quale più grande assurdo di quello di trasmettere un diritto in un tempo in cui quel diritto più non si ha?

(Cap. XIX, Proprietà. Atti di ultima volontà, p. 47)



Da per tutto si annunzia come uno de’ maggiori beni, che produrrà la democrazia, il rifiorimento del commercio. Le teste politiche se ne scaldano, ne ribollono. Ma non si è pensato molto ad esaminare prima, se il commercio convenga alla Democrazia, e qual commercio, e fino a qual segno.

(Cap. XXIII, Commercio, p. 53)

Commercio!… Colui che estese il commercio al di là della permuta, strinse i primi anelli delle catene di schiavitù, già preparati dalle proprietà permanenti. L’agevolezza di acquistare moltiplicò insani bisogni, diè luogo all’avidità, alle frodi, alle disuguaglianze di fortune, stabilì i non possidenti, ed andò in tal guisa corrompendo morale, ordini sociali, e libertà.

(Cap. XXIII, Commercio, p. 54)



Il solo possidente è libero, perché egli solo è indipendente. Chi ha braccia e suolo, non dee più mendicare la sua sussistenza da altri: l’ha da se stesso. Allora finalmente non è egli in soggettamento di alcuno; allora può senza riguardi, senza speranze, e senza timori far uso ragionevole delle intere sue facoltà.

(Cap. XXIV, Agricoltura, pp. 57-58)



Un piccolo possidente il quale ricavi da se stesso i necessarj prodotti di pastorizia e di agricoltura, non ha bisogno di fare alcun commercio […], può aver bisogno di fare quel solo commercio, che gli sarà ben agevole di fare da se medesimo. Chiunque ha passato alcun tempo alla campagna, sa che gran parte del commercio loro nol fanno altramente i contadini. Là dove ognuno ha tutto o quasi tutto il sufficiente per un vivere agevole e tranquillo, perché mai si dovrebbero fare ampJ commerci?

(Cap. XXIV, Agricoltura, p. 59)



Dà un’occhiata al globo: tu vedrai che gli uomini vi sono corrotti a misura che sono in più gran numero ammassati nelle città. Vedrai che quando è più piccolo un villaggio, tanto in generale vi sono più puri i costumi.

(Cap. XXV, Città, p. 60)



Un popolo che in mezzo allo scompiglio delle facoltà umane si trovi in quella fattizia ignoranza, non può risorgere alla libertà se non per via di un’istruzione opportuna e ben guidata, e di quelle altre istituzioni, e di quelle altre istituzioni, le quali debbono accompagnare l’istruzione, perché si abbia da questa una soda e sufficiente utilità.

(Cap. XXX, Istruzione, pp. 71-72)



Un uomo può fare società, può convivere in amicizia con un altro uomo in qualsivoglia angolo della terra. Ogni uomo dunque lo può con ogni altro uomo, e tutti gli uomini lo possono con tutti.

(Cap. XXXIII, Società universale, p. 79)

I brani riportati sono tratti da Vincenzo Russo, I pensieri politici, Loffredo, Napoli 1999. Alla fine di ogni brano vengono indicati capitolo e pagina.
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vedi profilo di Vincenzo Russo

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